I proprietari di un immobile, ex suoceri della ricorrente, propongono in primo grado azione volta al rilascio dell’immobile nonché al risarcimento del danno da parte della ex nuora, occupante l’immobile concesso in comodato al figlio a seguito del matrimonio al fine di ospitare la di lui famiglia. L’ex moglie resiste formulando domanda riconvenzionale volta al recupero delle spese straordinarie da lei sostenute a miglioramento del cespite oggetto di disputa. Il Tribunale ha accolto la domanda dei proprietari e condannato la ricorrente al rilascio dell’immobile (verificata l’estinzione del rapporto di comodato per il venir meno del presupposto fondamentale: la convivenza con l’ex marito) ed al risarcimento del danno. Anche il giudice d’appello, esclusa la circostanza che la detenzione della ricorrente potesse essersi trasformata in possesso, conferma la sentenza di primo grado. L’interessata ricorre in Cassazione denunciando violazione di legge poiché il giudice del merito non avrebbe tenuto conto del fatto che del contratto di comodato la ricorrente non era a conoscenza.
La Suprema Corte ritiene il ricorso infondato. Infatti, “il comodatario che, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione (nella specie, straordinaria) può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante, anche se comportino miglioramenti, tenendo conto della non invocabilità da parte del comodatario stesso, che non è né possessore né terzo, dei principi di cui agli articoli 1150 e 936 Cc”. Di conseguenza, venendo meno la causa della concessione dell’immobile in comodato, l’ex moglie è a tutti gli effetti occupante abusiva, tenuta, oltre che a rilasciare l’immobile ed a sopportare l’esborso per le opere edilizie eseguite, a risarcire i legittimi proprietari.